La creatura che ci abita
Alex Della Pasqua

foto Margherita Caprilli


Daemon affonda le sue radici nell’immaginario perturbante di Frankenstein di Mary Shelley, restituendone non tanto la narrazione lineare quanto la tensione filosofica e affettiva che attraversa l’intero romanzo. Lontano da qualsiasi riduzione simbolica della creatura a semplice alterità mostruosa, il lavoro di Motus intercetta il cuore pulsante dell’opera: quella zona liminale in cui l’umano e il mostruoso si confondono, si rispecchiano, si generano a vicenda.
Emerge infatti con intensità la scelta di mettere in scena il lato umano della creatura di Frankenstein — non come deviazione dalla mostruosità, ma come sua origine più profonda.
La figura del “mostro” appare qui spogliata di ogni maschera esotica o minacciosa: è corpo vulnerabile, soggetto attraversato da sentimenti che appartengono all’umano nella sua nudità
più radicale.
Al centro della scena non c’è solo il terrore del diverso, ma il dolore dell’esclusione. La creatura, nata dal desiderio prometeico di sfidare i limiti della vita, diventa emblema della condizione umana più fragile: quella di chi è messo al mondo senza un posto nel mondo. La solitudine, l’abbandono, il rifiuto: esperienze che non generano solo dolore, ma che, stratificandosi, si trasformano in risentimento, odio, disperazione. Una metamorfosi che non allontana dalla condizione umana, ma che al contrario ne rivela uno dei suoi volti più autentici. 
In questo passaggio emotivo, si ritrova il cuore pulsante del lavoro: non la costruzione di un altro da sé, ma l’emersione di un sé possibile, spesso rimosso.
Daemon si inserisce così come tappa significativa in un percorso più ampio che ha attraversato questa edizione di Supernova: un invito costante a ribaltare le prospettive, a disarticolare le categorie binarie attraverso cui si guarda il mondo. La figura della creatura, lungi dall’essere l’eccezione, si rivela come condizione dell’umano stesso, come possibilità inscritta nella sua natura. Il “mostro” non è ciò che si oppone all’umano, ma ciò che lo abita silenziosamente, lo interroga, lo costringe a riconoscersi.

foto Margherita Caprilli








Daemon


Daemon
è una allucinazione partorita dalla mente della giovane Mary Shelley/Alexia Sarantopoulou, che sogna ad occhi aperti, fa «castelli in aria», ha una immaginazione abnorme, mostruosa. L’abbiamo ritratta così, mentre si aggira fra boschi e nebbie e improvvisamente vede questa strana creatura muoversi veloce, apparire e scomparire, danzare in un rave immaginario, gridando di rabbia e spavento… Con lei dialoga.  Allucinazioni dovute al clima umido e alla pioggia incessante di quell’ “anno senza estate”? Immagini scaturite dai riflessi delle acque? 

Daemon è anche preludio al secondo movimento (filmico) Frankenstein (a history of hate) che debutterà nell’autunno 2025 a RomaEuropa e racconta di quel terribile click che fa convertire l’amore in odio, la benevolenza in violenza; di quell’inceppo del meccanismo amoroso che provoca un ribaltamento dalle conseguenze irreversibili. È focalizzato sul “divenir cattivo” della creatura: su come un essere senza identità, senza storia, solo come un cervo e inseguito, fa mondo a sé e si ribella, appiccando fuoco alla casa. Il fuoco – che è un tema ricorrente in questo romanzo prometeico – invita in realtà a cogliere il valore trasformativo e insorgente del la rabbia, come primo gesto/modalità di reazione a un sistema antropocentrico che sta schiacciando ogni posizionamento non conforme. E in questa nuova e tragica era trumpiana, si fa ancor più necessaria la voce dissidente di chi è spinto ai margini. Lo diciamo con le parole di Susan Stryker (autrice, e teorica di gender studies) da My Words to Victor Frankenstein Above the Village of Chamounix: Performing Transgender Rage che chiudono la performance:

In questo luogo senza linguaggio
La mia rabbia è un delirio silenzioso.


Bio


Motus, compagnia teatrale fondata a Rimini nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, esplora le contraddizioni del presente attraverso spettacoli, performance e installazioni. Presenti in Europa e nel mondo, i registi hanno curato il cinquantenario di Santarcangelo Festival (2020-2021) e dal 2023 Supernova, rassegna di arte performativa a Rimini. Nel 2021 hanno vinto il Premio della Critica dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro e nel 2024 il Premio Italian Council con il progetto [ÒDIO]. Nel 2025 inaugurano “Future in the Past”, una mostra dedicata al loro archivio, e Casa MOTUS, un centro culturale a San Giovanni in Marignano, grazie al bando PNRR.