Haunted

GAIA GINEVRA GIORGI 

foto di Margherita Caprilli

la questione fantasmatica: gaia ginevra giorgi nell'esplorazione della crepa
aurora santeluce


nel 1997 avery gordon pubblica “cose di fantasmi: haunting e immaginazione sociologica” e mette al centro del tavolo degli studi uno strumento che permette forse per la prima volta di esplorare con assoluta fierezza la dimensione della memoria, dell’incertezza dell’essere umano, riconoscendo il tormento che queste sensazioni causano. se qualcosa è stato qui, gordon dice, dobbiamo riconoscerlo anche nella sua assenza. allo stesso modo in haunted di gaia ginevra giorgi il fantasma - inteso come l’oggetto che non esiste più ma che si lascia percepire nelle tracce delle cose tutte attorno - infesta la stanza, smuove le acque, bagna la performer e la possiede. giorgi è prima albero, poi donna-ragno, aracne impersonificata e imbrigliata nella tela che in questo caso però non è fatta di filiera ma di nastri, gli stessi che sono sparsi sulla scena. registratori, vhs, videocassette, una videocamera di un tempo andato: tutto rimanda a un periodo che si dilata nell’atmosfera traslucida classica della rappresentazione degli anni ’80. il corpo di giorgi si muove attorno a ognuno di questi oggetti, alle volte tirando, alle volte accendendo torce sul suono. assisto e mi domando: che sia questo un tentativo (l’ultimo, l’estremo) di domare il ricordo? che nello strattonare il nastro ci sia un tentativo di riportare a sé qualcosa di tremendamente lontano? in questo spazio che è il palco si racconta e si rivendica la storia del confine, usufruendo di frammenti sonori e giochi di luci e registrazioni in cui giorgi sembrerebbe leggere lettere destinate a chi non condivide più il suo stesso percorso di vita. non è la morte a essere protagonista, piuttosto l’assenza e le sue varie e complesse declinazioni. haunted si articola su due piani di narrazione differenti: il primo richiede una concentrazione più lenta, più sul punto. da parte di chi osserva è richiesto uno sforzo - il ricordo non è cosa semplice, non c’è un accesso che sia immediato, non ci sono uscite di sicurezza. se vuoi varcare la dimensione, allora devi modellarti attorno a essa e non fare richiesta di acceleramento, rimanere nello spazio delle cose confuse. giorgi si muove, lenta, attraverso i pezzi di cose dagli angoli levigati che sembrano però voler essere maneggiati come fossero vetri. 

poi, la furia – è un attimo: il piano di narrazione ora è rivoltato, i gesti più spasmodici, le mani della performer sono immerse in un tinello d’acqua che sembra essere l’antico recipiente di una creatura acquatica mostruosa nonpuoiaverminonpuoiaverminonpuoiavermi - sembrerebbe dire. ma giorgi tira e si contorce e si fa lei stessa acqua, e alla fine libera il mostro che nient’altro è (tutto è) che ulteriori nastri, aggiuntive memorie andate che sommergono il corpo dell’artista, intriso adesso di nuove parole da rimettere in ordine. è in questo momento che si schiude la potenza della performance: si inserisce, infatti, un terzo piano di rendiconto della memoria che non è più tangibile, veritiero. la nostalgia è il glitch del dolore, e ḑ̶̧̖͓͕̣̥̪̰̩͌̅͛̋ë̷̻̪̮́̒̀͂̌̍́͗̀̎́̕ͅf̶͈͐ȯ̴͈͑͐̾̾͘͝r̷̢̧̟̬͍̹͎̘̿̽̒͆́̇̐̍̀̕͜͜m̴͈̘̄̐͒̕ā̷̢̡͕͇̣͖͕̮̗̠̲͌̈́̎͜ e agguanta. e di questo il fantasma se ne approfitta, dispone della crepa e violento entra in scena. adesso è possibile sentirlo, adesso lo vedi, e si manifesta con una forma diversa a seconda di chi sta osservando. l* spettator* viene colpito inaspettatamente dal peso dell’invisibile – seduta, immobile, sento un leggero pizzicore alle tempie e dentro le mie acque corporee riaffiora un ricordo che credevo di non possedere più. mi rendo conto, poi, che è stato lui ad impadronirsi di me fino a quel momento. mi concede di farsi rivedere in tutta la sua maestosità di spettro. haunted è una performance che stuzzica il tessuto della reminiscenza, lo tormenta e se ne prende teneramente gioco come si fa di un bimbo. e l’aggregato cellulare si lascia perseguitare con placido piacere, si lascia commuovere: un tempo in quella memoria andata c’era una versione di me che non conosco più, ma che con cura e rispetto adesso posso inseguire per un attimo, solo per poterla sfiorare, per lasciarmi abbracciare. un tempo questa memoria è stata casa mia e mi ha abitato con gioia e dolore. allora torno sulle sponde di questo Gange del ricordo, e contemplo. luci spente. 

abitacolo del fantasma
non ho mai pensato al suono come memoria della distruzione, se ci rifletto però non esiste vibrazione più pertinente a costruire l’immensa,  
decadente, architettura del tormento. 

penso: la nostalgia è il glitch del dolore, e ḑ̶̧̖͓͕̣̥̪̰̩͌̅͛̋ë̷̻̪̮́̒̀͂̌̍́͗̀̎́̕ͅf̶͈͐ȯ̴͈͑͐̾̾͘͝r̷̢̧̟̬͍̹͎̘̿̽̒͆́̇̐̍̀̕͜͜m̴͈̘̄̐͒̕ā̷̢̡͕͇̣͖͕̮̗̠̲͌̈́̎͜ e agguanta.
nel reperto il sangue sostituisce la lacrima e al posto dei cerotti 
usa nastri di parole registrate e goffo prova a catturare  
il fantasma.
il fantasma.

(se in una cassetta con amore conficco violenta la tua voce, tu sei davvero qui? - 
(se registro la tua voce, t’imbriglio. 
tu non eri così, avevi forma diversa e tridimensionalità  angelica, questo non èè che il rarefatto prodotto: 
un ricordo distorto.

con coraggio, devo inspirare a pieni polmoni
e con forza, immergermi.
cercare la forma del reale -
le cose che erano, reimmaginarle
senza mai distorcerle,
e rivederle nella forma delle cose che saranno,
che nulla hanno a che fare con la realtà
ma piuttosto con la sagoma
che io desidero viva e scalpitante,
e che dunque scelgo di abitare.)



foto di Margherita Caprilli


Haunted: la questione fantasmatica reincarnata da Gaia Ginevra Giorgi
Rebecca Diana Ricciolo

Gaia Ginevra Giorgi è l’apparizione, a cavallo tra l’umano e il fantasmatico, che apre la seconda giornata performativa di Supernova e che ne fa progredire le tracce liquide e fluide. Performer, sound artist e autrice, la Giorgi è un’apparizione morbida ed eterea in una drammaturgia che riesce splendidamente a coniugare il binomio tra archivio e acqua senza venire meno alla sua funzione narrativa. Scritto da Con la collaborazione drammaturgica di Giada Cipollone, ricercatrice specializzata in eco-drammaturgie degli spazi e archivio delle memorie teatrali presso l’università IUAV di Venezia, la performance nasce innanzitutto da un ritrovamento.
Sono una serie di nastri magnetici gli elementi che vengono letteralmente riportati a galla, ritrovati e scoperti, e che, presumibilmente, risalgono a un periodo di tempo che si muove tra il 1980 e il 1997. Tra queste bobine danneggiate e interrotte, emerge la voce di un individuo di cui non si conosce identità: una tela bianca su cui costruire possibilità infinite di narrazione.

Questo progetto vede coinvolte Gaia Ginevra Giorgi e Giada Cipollone in un processo non di riscrittura, ma di totale evocazione fantasmatica di un ricordo senza alcun contesto di appartenenza pregresso. Una voce esente da biass narrativi, cui si può risalire non tramite un processo traumatico di superamento del morto della persona deceduta, bensì di vero e proprio haunting: una pratica che sonda l’identità del defunto rievocandolo tramite ricordi, suggestioni e lo riporta in uno spazio dove la sua visione è possibile e si concretizza attraverso diversi espedienti. Sulla scena, infatti, la presenza delle varie bobine non solo ha una funzione oggettiva che rimanda al loro ritrovamento, ma è parte integrante del dialogo tra il morto defunto e la reminiscenza della sua memoria. 

Gaia Ginevra Giorgi è un mezzo che si fonde con i nastri, le registrazioni di voci altre e della sua stessa, ed è strumento di dialogo tra microcosmi differenti. Sta a lei rappresentare la soglia, il confine intangibile tra due mondi, quello umano e quello di un al di là possibile, modellandosi sinuosamente sulla scena. Abitando questo spazio, questa sponda immateriale in cui le rievocazioni mischiano i ricordi d’infanzia della performer e le voci del defunto, è inevitabile che lo spettatore si trovi di fronte a una propria proiezione emotiva, fantasmatica appunto, dei suoi ricordi sopiti e intangibili. Lo spettro di queste immagini si mescola alle varie presenze in scena e ci conduce poeticamente al nostro archivio individuale fatto di memorie, di voci, di profumi. La proiezione olografica di una Giorgi bambina, sfumata dall’utilizzo di una lente che ne sbiadisce i contorni e regala tinte variegate, è paragonabile a una vera nascita di una nuova memoria. È proprio la nascita a caricare l’acqua di un valore altro, di una messa al mondo di una costruzione spettrale che, così come per la vita umana, avviene completamente immersa nel liquido pastoso e denso della creazione. Con un flusso potente e prepotente, la narrazione ci mette di fronte ad un’evocazione poetica in cui i nostri fantasmi prendono forma e si concretizzano in scena: così morte e vita si fondono in un legame gemellare. 
Ciò ci porta inevitabilmente a considerare la funzione dell’acqua non unicamente erosiva rispetto al ricordo, bensì questa è anche archivio indisciplinato di una memoria perduta grazie alla sua funzione ibrida e caotica. Si rispetta interamente quindi la duplicità cognitiva dell’acqua, come agente omeopatico che trattiene in sé qualcosa e le visioni e paesaggi acquatici cui ci espone, duplicità esplicata da Anne Carson nel suo Antropologia dell’acqua, fondante testo di riferimento nella creazione di questa messa in scena. Insieme all’utilizzo magnetico del sonoro, tutto si fonde in grande processo poetico e liberatorio di luci, ombre, visioni. 

Questo lavoro offre uno spaccato potente, infestato e contemporaneamente candido di ciò che possiamo fare con i corpi presenti e, soprattutto, con quelli assenti, conducendoci fluidamente in immaginari, mondi, evocazioni possibili. Così come l’acqua, la cui forma asseconda quella del suo contenitore, le possibilità evocative della memoria possono essere inserite e dilatate in contesti vari, infiniti, possibili. 

foto di Margherita Caprilli




 
                                                                                                   @supernova2024