ONDE
SIMONA BERTOZZI
Onde di Simona Bertozzi: corpo come marea
Linda Armelius

Al terzo giorno di Supernova, il fil rouge acquatico, che, come un fiume, allunga le sue anse tra le performance della rassegna, trova esplicita dichiarazione nell'opera coreografica di Simona Bertozzi, Onde.

Ci sono maree nel corpo dice Virginia Woolf, ripresa anche dalle recenti teorie idrofemministe. E proprio queste maree sembra portare in scena Simona Bertozzi traendo ispirazione dall'omonima opera lettaria di Woolf, la più sperimentale. Un romanzo in cui i soliloqui dei protagonisti si espandono e ritraggono come onde della coscienza, come i corpi dei tre giovan* danzator* in scena.

Inizia con il buio il sogno liquido di questa potente narrazione corporea, un derviscio acquatico ci introduce a un mondo altro. I confini si perdono nell’oscurità e nella rotazione, come in una trama di pioggia o nella vaporosità salina di un mare in tempesta. Tutto si sfoca, la definizione si perde e anche la pelle, porosa e permeabile, smette di essere un limite così netto di fronte alle atmosfere fluide e vibranti in cui stiamo per essere introdotti dai corpi sul palco. Un palco scarno con un'unica scenografia: il sottofondo elettronico di Luca Perciballi, quasi un motore di nave che ci conduce verso luoghi esotici, attraverso la stereotipia vocale che pare voler riprodurre un frustino e trasformare in tigri i danzator*, fino ad arrivare alla sintesi estrema di una samba di cui rimangono l'ossatura ritmica e la danza concitata, a tratti grottesca, di Rafael Candela.

Sono corpi e suono, dunque, senza altri espedienti estetici, a tessere lo scenario emotivo. Corpi soli o in dialogo, in metamorfosi e ricerca, capaci di trasformarsi attraverso la fluidità dei movimenti e dell'esistenza, in onde, felini, meduse. Corpi che tendono all'emersione o che si lasciano sommergere ma mai passivamente, solo per sentire, corpi vigili, percettivi, vibranti, che attraversano in un viaggio, solo apparentemente onirico, i vari stati della coscienza. Corpi e sguardi che a volte rompono la quarta parete, e non per farci brechtianamente percepire la finzione ma per portarci dentro, per rompere la sacra distanza tra palco e platea e farci naufragare nella carnalità e nel desiderio, nel movimento, nel contatto fisico, nella vita, nel brodo primordiale, nel liquido amniotico, nelle maree, nell'acqua, nella stessa acqua che ci fa e che ci circonda, che è origine, che ci accomuna e che ci lega a tutti gli esseri.

Una permeabilità di ruoli, confini e spazi che lascia spaesati nel finale, quando scopriamo di non essere dove credevamo.

foto di Margherita Caprilli
foto di Margherita Caprilli
foto di Margherita Caprilli


Delle Onde Regina Valentina
a Valentina Foschi
Gabriele Germano Gaburro

“A causa del continuo infrangersi delle onde sugli scogli, a poco a poco il sale si deposita sulla roccia e forma quei bellissimi cristalli splendenti, i fiori della marea.”
- Kazuo Koike, Shurayuki-hime



Acqua pura, che ti risciacqui nell’acqua, come sorella aria che alta ti sorvola, arieggiando nell’aria.


Acqua immediata, che non hai colpa, depurata dell’ingorgo d’alcuna coscienza, traboccante della sola tua chiara ridente radianza, così sgombera, così vera, umilmente esaltata al tuo giovane ardore di fresca trasparenza spensierata, che nient’è, null’ha, e che risuscita all’adesso il suo antico splendore!


Valentina, tu che del mare sei l’infaticabile bellezza nel suo fuggente passo trionfale. Onda, che ondeggi nell’onda, sempre scalando la mobile vetta del tuo fianco levigato, che si disquama al vento in corolla di millefiori. Dall’orizzonte alla battigia, doglia di tempesta partorita alla riva, tu ti spargi scomposta in fragranti boccioli di spuma porosa. Dischiusa all’immensa distesa marina, aperta all’Aperto col tuo semplice cuore, Delle Onde Regina, Valentina! Valentina! Tu scorri, acquadellina rapidissima, trasparente nella trasparenza, sincrona nell’empatia creaturale, vibrante d’intima risonanza col tutto che a te sola è vivente!


Valentina, tu che infranta sei la voce del mare, tu che ti accendi del riso che ti precede, e che dal viso dolcemente ti promana come il profumo dal fiore. Tu che emanando oltre te stessa inondi l’aria della tua essenza beata. Ondafiore! Io so! Che il profumo del tuo riso è più intenso del gambo reciso!   


Delle Onde Regina, Valentina, con la tua piccola corte preziosa di un fratello, Rafael, e di una sorella, Arianna: eccola che si mostra, rotolandosi a terra nel sacco della sua tumida carne, schiumante dalle labbra lacerti di note d'ebete lallazione, magnifica demente in preda alle sue beate convulsioni, beatamente dimentica d'ogni umana psicologia, beatamente espropriata a se stessa. 


Fluttuando nella danza d'aperta frontiera di un'onda all'altra, nei vari momenti e movimenti, ora convergenti ora divergenti, ora annodate nella configurazione d'amore di una tenera ghirlanda, ora lontane in disviluppo defluenti, battute dal vento in larghe spatolate radenti, ora in coppia parallele nei gesti gemelli di due spigolatrici di Millet. E quale che sia lo scompiglio che vi arrangia, sempre l'un l'altra destinate, nell'arena di pace dell'acqua, alla nascita affluenti.


Vi toccate a volte, tangendovi in un tenue sfioramento timido di sguardi, nel loro silenzio teneramente dichiaranti. Una mano altre volte assapora un'altra mano, mentre un'altra si poggia a una caviglia nell'entanglement d’una posa intimamente inconsueta, che vi rilega nel bouquet di un’effimera comunione, intensa e delicata come la vita di un fiore. In quella è l'indizio di un noi, il solo che veramente possa darsi, cogliendo il retaggio di quel dolce profumo, inebriante speranza della nuova stagione. Nell’ordito dei vostri corpi intrecciati, si tesse agli sguardi un'arte inedita degli incontri, mentre la vita proprio ora ne detta di inattesi ad ogni sua creatura. 


Valentina, solo ora capisco: la tua danza si svolge nel mare della vita, è la Vita che danza se stessa! E quale teatro può contenere il mare? Servire da coordinata all'oblio dell'onda, che non sa il dove, non conosce il quando, ma il sogno di un attimo e il suo gioco salmastro. 


Dentro la scena come fuori, aperta all'Aperto col tuo semplice cuore, se per te dovessi scegliere un compagno, sceglierei un passerotto. Che ti zampetti accanto, come quelli che d'estate si radunano attorno ai chioschi delle piadinaie romagnole, elemosinando ai clienti qualche briciola di crescione o frullando le alette in una conca di sabbia a nettarle. 


La tua danza sconfina pur non superando la linea della scena. Come? Poniamo che planando il passerotto ti si posi su una spalla. Ecco: ora tu devi aver cura di quel compagno invisibile, e danzando condurre ogni gesto con tale amorevole infinitesima cura che lui non se ne vada. Se vola via, tu perdi. Perdi la tua anima insieme alla sua, così vuota, così grande, che gli respira il pettino. Se resta, tu vinci, e la tua danza diventa la Vita stessa, ed è lì che sconfini nell'estuario del suo mare. Valentina, guarda: ora posa mansueto nel nido della tua mano mentre giocondo aleggia un riso nel nido del tuo viso, composto come una preghiera. Se allora anche un passo dovesse superare, non importa, perché non un’intenzione sarà stata a condurlo ma una certa ondulante, trasognante ebbrezza, un battito d’ali delle ciglia in cui vacilli la coscienza, facendo largo in te a una mancanza. Eri tu la sola scena da sconfinare! Il luogo di cui scovare l'altrove! Ed ecco che già fuggi, dentro e fuori te stessa, con l'acqua svelta del tuo corpo che scorre d'un bene!


Delle Onde Regina, Valentina, onda che ondeggi nell’onda, ondivagando nella tua rifluente tautologia, avanti e indietro, avanti e indietro nel cerchio sinuoso del tuo ritmo incantato, preda di una dolcissima possessione gioiosa. Tu... tu non stai danzando. Tu stai ringraziando. Tu benigna, tu prospera, tu generosa, che inconscia ti doni improvvisando ovunque un altare. Così devota, così spensierata, che dalla corrente distratta ti lasci trascinare, annegando dispersa alla deriva di te stessa. Così dolcemente ti abbandoni al tuo liquido elemento, eseguendone lo sciolto dettato, raccolta nella marina preghiera che culla ogni onda nella comune sorellanza. E per l’esultanza del vostro divenire, ogn'onda partorisce un’altr'onda, madre e figlia a se stessa nella perpetua gravidanza, e nella danza, dalle movenze d'altalena, che si ritrae e si rilancia nella trance di continua alternanza, alla cresta levata e al ventre calata, e dalla cresta montante alla valle del ventre, dove s’immerge evanescente nella tundra abissale. 


Smarrita rigenerata, ogni volta rinascente in forma uguale in forma nuova, ricorrendo oscillante in increspata variazione. Chiocciola che scrosci nei tuoi anelli a spirale e che franando t’inventri rovesciandoti addosso. In quell’incedere d’inciampo obiettando il tuo passo, rimescendoti scoscesa alla tua insolubile contraddizione, ché solo un’assenza può sostenere un’assenza lasciandola cadere! Onda ignorante, profonda senza nulla sapere, nel tuo riflesso il mare scorge se stesso!


Assetato e fisso, il mio sguardo circuisce la corrente, e quando il vento schiude un varco insinuandosi tra i meandri della risacca, il mio occhio scivola con lui al ventre del tuo fondale. E quella tua lontananza non lontana mi appare, non mi si perde alla vista e anzi affiora, e affiorando s'affaccia, tanto è chiara la tua trasparenza!


Io ti contemplo e penso: come tradurre l’acqua? Come l’onda?


O-enne-di-a: catena di una lingua artefatta, quattro grani di deserto che non sanno la freschezza. Di tutt'altro c'è bisogno: un corpo, un corpo scosso, in intima sollevazione e ansia di purezza, da cui sgorghi l'essenza di quella danza stessa. Solo così, altrimenti non si traduce, e quel che a natura riesce senza sforzo, per noi resta inespresso, inimitabile: muto.


Nel dubbio, ti chiederai: perché? A che l'esercizio, la ripetizione di uno slancio che in noi non si compone, eterogeneo e incomparabile al grave di queste membra? Non chiedere ma guarda, non guardare ma vai, abbeverati alla fonte che così liberamente ti si porge. Ascolta in te stessa il ritmo che uccide la parola, e sii come la vita, ma senza come: sii la Vita! E non nasconderti! Il mare si mostra continuamente! Esaudisci la sete che ti brucia, che ti fruga e ti scalcia per trarti a esistenza. Sei tu la risposta! Lascia scaturire l’incandescenza ch’è in te quiescente, limpida fiamma smodata in perpetua mozione! 


Sii Vita! Sii Acqua! Sii Fuoco! Delle Onde Regina, Valentina! Valentina!


Atleta del cuore esultante, dai mille guizzi purosangue, impasto di luce che non si delega al faretto ma nei bagliori del ritmo divampa del proprio radioso gioire. Del tuo riso t'accendi! Che altro? Ricolma, rorida, rugiadosa, lubrificata di luce nel tuo flusso gioioso. Tu che ti sperdi nella fibrosa mollica del tuo fermento muscolare, senza il duro e il secco della crosta, porosa alla luce dei miei occhi che ne perfora languidamente i volumi sensuali, coscegluteispalleseni, con sguardi-stuzzicadenti.


Tonica, voluttuosa, tarantolata, duttile come creta bagnata, elastica come il giovane fusto nella sua tenera arborescenza, ignara d'ogni lutto nella franca traboccanza del tuo slancio innocente! Nel muscolo condiviso, com'è lontano dal pianto il tuo riso! Com'è trasfigurato il dolore in ogni gesto che irraggi! Gioia, nient'altro! Nient’altro che Gioia! Schietta e delicata, gentile e potente, trepidante e serena! Che riscatto il tuo corpo! E quella luce, setacciata fine in te stessa, felice ritrovamento che dissotterra ogni assopita membra spirituale! Un alone di trascendenza impolvera di fresco l’ardore delle tue labbra, e si posa, come un bacio di farfalla, sulla tua nuda immanenza. Tra il palmo e le dita dei miei occhi devoti, il mio cuore sgrana il rosario di sabbia della tua pelle dorata, tiepida e rischiarata all’alba bambina del tuo riso antico. Se mai la tua bellezza, di sola acqua vestita, mi volesse abbracciare, io, amante del naufragio, al suo moto vorticoso vorrei fare da sponda e in te morendo, mia regina, disfarmi in amore.


Dalle spalle di morbide dune e dal collo flessuoso, fiutando un che di vago, il tuo muso di volpe si alza nell'aria. Senza nulla osservare, per un istante pare che tu veda, trasvolando incantata l'ampio arco del cielo, sospesa al firmamento dei tuoi occhi lucenti. Le tue mani con gli occhi si levano agli astri, lievi tastando con palmi anelanti stuporosamente protesi. Sensibili in senso atmosferico, modellano quella sottile sostanza ramificandosi nell'etere al dolce metro di un coordinato gesto musicale. Alla carezza dei tuoi polpastrelli, il cielo porge la guancia e scende dalla sua vetta più azzurra, irrespirata e pura, per danzare insieme a te. L’aria ti avvolge nella sua luminosa pagina bianca, e tu la sfogli, con le mani e con gli occhi. Ogni tua movenza mette in luce la trasparenza che attraversi e che attraversando ti attraversa. Due trasparenze si specchiano l’un l’altra, l’onda al vento mescendo: acqua, che si risciacqua nell’aria, che arieggia nell’acqua. E mentre ti tuffi in un mulinello incalzante di correnti immateriali, l’immensa creatura di una mancanza, sagoma di megattera pendente sulla scena, mi viene verso, a impattare! Anche l’invisibile fai danzare! E cantare anche il silenzio, eco vivente delle cose accanto!


Quando si placa la danza nella tiepida brezza di una sosta increspata, o di una calda spianata il lastricato di luce, tu sei bella come il bianco airone, col suo passo delicato sospeso in accenno, che guada placidamente la riva del canale. Scolpita nel pudore della movenza animale, la tua figura s'ammanta di una classica compostezza, e come di statua una sapiente misura fa da corollario al tuo libero ardore.


Dall'ombra discreta degli spalti, io tiro a me il tuo filo di luce come il pescatore la rete alla barca, e rubo il tuo attimo... nel mio.


Fiori della marea, e ora, che resta? 


Ora che si è data, Delle Onde Regina, Valentina, Valentina, allo scoglio abbagliato da tutti sparpagliati i suoi petali salini. Ora che il vento, teneramente errando, la sfoglia, come un poco di rosa tra le sue mani, e trasparendo, di petalo in petalo, di lei solo si svolge: un cavo, azzurro, riflesso...


 


 
                                                                                                   @supernova2024