Repertorio N.2
DAVI PONTES & WALLACE FERREIRA

foto di Margherita Caprilli
foto di Margherita Caprilli
foto di Margherita Caprilli

PER UNA RIVITALIZZAZIONE DELLO SPAZIO: Repertório N.2
Potito Forte

La pelle nuda, il corpo nero e la sua gestione rispetto alla sala neoclassica, al gusto occidentale, implicitamente coloniale, su cui si produce un rapporto complesso, a metà tra feticizzazione, vergogna, desiderio e sfruttamento. A queste premesse storicamente fondate risponde la performance di Repertório N.2, messa in atto dagli artisti brasiliani Davi Pontes e Wallace Ferreira.

La loro ricerca risponde a una stratificazione di violenze interiorizzate, in una sfida di tipo decoloniale, contro il ciseteropartiarcato e gli stereotipi radicati nell’ideologia occidentale.

I due performer entrano negli spazi della Sala Ressi del Teatro Galli completamente privi di vestiti, ad eccezione di un paio di sneakers e calzini in spugna con il logo Nike, in pieno contrasto rispetto al pudore vestito di tutto il pubblico osservatore, e mettono in atto una coreografia di autodifesa. Procedono simbioticamente ad eseguire movimenti spezzati, rumorosi, aggettanti: lo sfregarsi della gomma delle scarpe stride con la pavimentazione granitica e centenaria dell’ambiente, e gli elementi di disturbo sono molteplici. Probabilmente il distacco è culturalmente ricevuto ed è su un’aspettativa di ricezione dell’ambiente neoclassico. Lo stridore è nel rituale corporeo, difensivo, di sfregamento con l’ambiente e i soggetti presenti sulla scena come spettatori. I legamenti corporei dei due performer entrano in un contatto sinestetico con le simmetrie spaziali delle vistose lesene perimetrali, degli altorilievi su soffitto, con figure femminili idealizzate, probabilmente muse ispiratrici. In alcuni momenti, Pontes e Ferreira interrompono la loro danza sincopata, chiudono i movimenti con scatti e balzi su se stessi, e proiettano lo sguardo verso un punto della stanza. La divergenza con l’ambiente è in costante dialogo: in alcuni momenti i due artisti dividono le sedute con alcuni spettatori, generando la loro sorpresa e venendo contagiati per vergogna culturalmente acquisita in relazione alla nudità. Successivamente, Davi e Wallace procedono con le stesse azioni coreografate, ma cambiando alcuni passaggi di intermezzo, andando talvolta ad aggrapparsi o interagire con le statue presenti nelle nicchie angolari della stanza, tra le lesene, procedendo in un confronto dissacrante tra statuaria classica e corpo nero implicitamente feticizzato. Inoltre, vi sono momenti di carattere ironico, quando i due artisti agiscono d’ improvvisazione, e interagiscono con uno spettatore che si è addormentato, o con i maestosi specchi con rifiniture dorate, in un interscambio di auto-osservazione.

La Sala Ressi ha ammesso sulla sua pelle un’infestazione di 45 minuti e ne è uscita rivitalizzata in un corpo post-coloniale.





 

 
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