ROVINA
VLADIMIR BERTOZZI + DEMETRIO CECCHITELLI
foto di Margherita Caprilli

Il disastro è la mia prima memoria: l’accoglimento della ROVINA nel lavoro di Vladimir Bertozzi e Demetrio Cecchitelli
aurora santeluce


Il teatro galli apre le porte nel 1857, da allora ad adesso trascorrono centosessantasette anni di: conflitti, guerre, guarigioni mistiche e spirituali del territorio e della gente, e poi ancora le scissioni, le lotte, il ritrovamento e la disgiunta, l’erratico individualismo, la separazione del corpo fisico nel corpo tecnologico. da cornice: la terra, e poi nel mentre: la danza, la musica, le arti. Al centro di un teatro hauntologicamente abitato Vladimir Bertozzi e Demetrio Cecchitelli, in scena con ROVINA
Nello spazio una nebbiolina grigia, una musica elettro-malinconica. Poi, sul palco, una loop station e diversi strumenti (s’intravede un flauto, un basso, un drum pad). 
Il musicista si staglia (e viene schiacciato) di fronte a un maxi schermo e attende il momento della partenza nel viaggio musicale e visuale. Di questa nostra contemporaneità si potrebbe dire molto, e si potrebbe, se si volesse, partire da questa nostra generazione ultima. 
Alpha o zeta, il nostro nome richiama già in partenza un codice, custode di una gigantesca memoria storica nella quale non è possibile rivedersi. Il mondo per com’era prima non sarà mai più, viviamo adesso nel tempo dell’archivio digitale e impariamo dalla natura. Memorie diverse, corpi differenti, corpi non conformi, corpi cyborg, ci rivediamo nella creatura e non nell’uomo. Di continuo, re-immaginiamo. come potremmo fare altro? il nostro cervello da infante registra questo: la catastrofe è imminente, e imperversa e inquina, e surriscalda e brucia e spezza e dilaga, dilaga, allaga. di questa nostra contemporaneità si potrebbe dire molto, analizzare le nevrosi collettive, il distanziamento - abbiamo dimenticato la natura collettiva delle cose. 
Alcun* se ne struggono, altr* la ignorano - e lo schermo di ROVINA diventa tempio sacro e platonico di distacco contemplativo. Come un Dio altro, esterno, gli artisti si pongono in una dimensione superiore e guidano l’occhio dello spettatore o della spettatrice: guarda, sembrano dirti. anche il tuo sguardo contribuisce a tutto questo. hai mai però considerato che questa possa essere anche sinonimo di rinascita? Che non c’è rovina che non rimanga? Le immagini scorrono e il musicista, impassibile, suona. L’uomo è dunque il gigante, il salvatore? Fa da mediante o macchinatore?

foto di Margherita Caprilli


La ROVINA
Linda Armelius
Lo schermo diventa sferico sotto l'incedere vorticoso di immagini e video che la chitarra elettrica, matericamente suonata da un archetto, e il flauto traverso, su ritmica elettronica, montano di un pathos apocalittico: è l'essere umano che per la prima volta si accorge di aver basato la sua stabilità su una terra che gira e ne scopre e percepisce la rotazione veloce, la vertigine. 

La natura è una madre ormai distante che ha abbandonato i piccoli cresciuti, al loro destino e semplicemente sta, talvolta calma, liquida ed eterea su rassicuranti, ma freddi, toni del verde, talvolta vittima, infuriata all'occhio umano. 
Ė l'acqua che scorre e lega gli ambienti emotivi della scena e primordialmente lega il caos ad un'unica origine. È il pianto di fauni e satiri che si fa fiume. E l'umano, l'ultimo degli esseri generati, il più giovane e fragile, piccolo di fronte alla sublime vastità degli eventi, ha perso la sua pelle sfidando Dio Apollo o Madre Natura e indifeso di fronte a uno schermo che in soggettiva proietta le paure di ognuno di noi, si ritrova nella collettiva appartenenza, con gli altri spettatori, ad assistere alla digitale rappresentazione della sua caduta che di materico ha solo il gelo dei respiri trattenuti. Natura cade, crolla, dilava, spazza, annienta indifferente. E l'umano trova come unico conforto nel pieno del disastro, la narrazione della sua rovina. 
Riprende, fa video della catastrofe estraneandosi dall'esperienza in atto e vivendola con occhi altrui.
Cadono alberi, l'acqua inonda la stanza, l'uragano rende l'uomo alla mercé di un palo e la mano continua a sostenere il telefono nell'intento di raccontare (a chi?), come un grido d'aiuto, un sostegno, un tecnologico Dio capace di portarci altrove.
E mentre Vladimir Bertozzi proietta la sconvolgente bellezza della potenza dei 4 elementi, Demetrio Cecchetelli si delinea come piccola ombra sul disastro facendosi ora Apollo ora Marsia in una competizione senza vincitori.

foto di Margherita Caprilli


Nell’incidente del prossimo futuro. Sguardo su Rovina
Giada Borgagni

L’installazione trascina il pubblico in un percorso audio-visivo attraversabile con un’andatura non automatica, ma frammentaria e complessa, con un passo a sospiro interrotto. Non è immediato crearsi una prospettiva comoda di ciò che risiede nell’installazione: attraversare con lo sguardo e l’udito la performance crea un proprio pendio immaginario d’inclinazione variabile, in cui  l’Ambiente domina il genere umano e ciò che ha prodotto, infestandolo. La variabilità ambientale sopravvive all'umanità e allo stesso tempo la trascina nel turbine della catastrofe. L’interrogativo che ci pone l’installazione rimanda alla posizione che assume l’essere umano nel circolo di questo declino. 

Il suono ci permette di immergerci emotivamente, tra il disturbo e il panico, in quello che accade alle spalle di Demetrio Cecchitelli, dove il video mostra una serie di disastri ambientali che incombono sugli spettatori. Le immagini sono come il gorgoglio di un gigante sepolto nelle profondità della terra: un essere che si fa suono, sussulto simile a un terremoto. L’alterazione del suono e della visione che si deteriorano nel tempo e nello spazio, assumono la corporeità del dente da latte che sta per staccarsi, spinto con riluttanza dalla lingua insalivata. Ogni frammento visivo allude al passaggio transitorio successivo che non viene, però, rivelato. 

Il sapore ferroso del sangue irrompe tra le gengive, non fuoriesce liquido. È imminente l’arrivo e la vicinanza di un crollo, senza che si manifestino. Si è introdotti quindi, in un senso di attesa, in un abisso di gola.

L’abisso della gola, ignora l’ingurgito,

non svela il passaggio,

il boccone si insinua, non ha

mani per tornare al palato.

Il multimediale è umanizzato dalla condizione primordiale delle catastrofi e dall’accompagnamento sonoro, nel quale confluisce la pulsione della visione dell’anemone che striscia.

Citando il filosofo francese Paul Virilio, fautore di un’estetica della sparizione come descrizione della catastrofe. Ne L'incidente del futuro viene sottolineato come oggi l’umanità riesca a concepire un tempo unicamente scandito tra incidente e incidente, e un futuro che ci appare proprio sotto forma di incidente. Il disastro è connotato come la vera essenza del mondo: l’inondazione rivela la vera natura dell’acqua.

L’incidente è all’ordine del giorno, ma non viene tuttavia concepito come reale o sentito come travolgente poiché lontano dal nostro campo visivo ed emotivo. Bertozzi colleziona delle clip che perdono la nota della notizia asettica, il fiato del clarinetto di Cecchitelli intervalla la violenza della composizione sonora. I gesti e le intenzioni demistificano l’imminente rovina che ci divorerà dentro l’abisso di una gola.



 
                                                                                                   @supernova2024