Un gesto che trattiene. Durata, spazio e presenza somatica
Alex Dellapasqua



foto Pietro Bertora

In un tempo dominato dalla velocità, dalla produttività e dalla distrazione permanente, una durational performance rappresenta una scelta consapevole, nonché un gesto di resistenza: prolungare la durata significa sottrarsi alla logica dell’efficienza per abitare un tempo altro. Nel suo protrarsi, This resting, patience non solo rifiuta il consumo rapido dell’esperienza, ma costringe lo spettatore a negoziare la propria presenza, a interrogarsi su come e quanto stare, su cosa significhi partecipare a uno spazio-tempo relazionale. 

Tutta la performance si gioca infatti sulla continua modellazione dello spazio, della presenza e del rapporto con il pubblico. L’ambiente passa dall’essere un contenitore neutro a diventare materia malleabile, una membrana porosa, continuamente riscritta dal gesto, dalla luce, dalla prossimità. Le due performer non si limitano ad abitare il perimetro scenico: lo scrivono, lo decostruiscono, ne alterano le coordinate. Spostano le sedute, avanzano verso il pubblico, talvolta fino al tocco, poi si sottraggono, si dissolvono nel buio e riemergono altrove. Ogni gesto ridefinisce i confini dell’esperienza, aprendo un territorio di relazione instabile, ma intensamente presente. È una pratica di dé-construction, nel senso derridiano del termine: non un semplice smantellamento o negazione, ma un processo che disarticola le strutture date per renderne visibili le condizioni di possibilità, aprendo spazi inediti di significazione. Spogliare non significa più “svuotare”, ma sottrarre ciò che è dato per rivelare ciò che vi è latente, non detto, ancora in potenza.
Come in un lento (strip)tease, lo spazio stesso si denuda. Non c’è un dentro e un fuori, un qui e un altrove: c’è un ambiente che si costruisce nel tra, nell’intervallo tra i corpi e lo sguardo, tra la luce e la sua assenza: talvolta diffusa e immersiva, talvolta localizzata come un riflettore intimo. In questo ambiente cangiante, i corpi non si esibiscono: si offrono. Ed è qui che lo striptease si fa “somatico”. Non c’è esposizione erotica nel senso spettacolare, ma un lento disvelamento di presenza e disponibilità tattile. Il corpo che si mostra non è oggettificato passivamente, ma gioca attivamente col desiderio e con la visione. C’è qui una rivendicazione sottile ma potente di agency: una volontà di “oggettivarsi volontariamente” per rinegoziare i codici dell’essere guardati. È una pratica femminista non nell’enunciazione, ma nel gesto: prendere spazio senza conquistarlo. Esporsi senza oggettificarsi. Sedurre senza possedere. Se nell’immaginario comune la seduzione viene spesso associata alla captazione dello sguardo, al desiderio erotico o alla manipolazione affettiva, This resting, patience riapre piuttosto il termine ai suoi significati etimologici: “condurre a sé”, “portare altrove”. Sedurre, allora, non è conquistare o soggiogare, ma creare una deviazione, un movimento laterale che attira per trattenere in un altrove temporaneo e condiviso. In questo senso, lo striptease somatico non seduce per intrattenere, ma per trattenere. Trattenere lo sguardo, trattenere la presenza, trattenere il tempo. È un invito sottile a restare, a stare con, a sostare nel tempo dell’altro. La seduzione passa dall’essere una tecnica del possesso ad una pratica della relazione. This resting, patience propone così un altro modo per abitare il tempo e lo spazio: un tempo erotico nel senso più profondo del termine – legato alla cura, al desiderio non predatorio, all’intimità senza possesso. 


foto Pietro Bertora




This resting, patience

Archivio spettrale di sensualità inespressa, dissolvenza cinetica installativa, (strip)tease somatico, “This resting, patience”, performance durational di 180 minuti presentata in prima a Tanztage di Berlino nel 2024, esplora l’attrazione, l’oggettivazione volontaria, la prossimità e l’estetica della nudità. Adottando un formato sperimentale, rompe la passività dell’installazione e i dettami temporali e narrativi della performance. Si allontana da una concezione della danza come forma espressiva separata dalla realtà per metterne in risalto la dimensione sociale e relazionale. Nella sua dedizione al corpo, “This resting, patience” propone la sensualità e la danza come strumenti senza tempo, democraticamente accessibili, capaci di sciogliere le convenzioni del mondo e di proiettare il presente in un futuro che permane, tenero, coinvolgente e attento.

BIO

Ewa Dziarnowska è una danzatrice e coreografa polacca, residente a Berlino da dieci anni e attiva a livello internazionale. Nei suoi ultimi progetti – “This resting, patience”, “https://4677684728466.com” e “A Room With a Better View” – esplora il potenziale dei processi improvvisativi e della conoscenza incarnata, opponendosi alle convenzioni teatrali borghesi e alla logica dell’intrattenimento orientato al prodotto. La sua pratica è ferale, ruvida e istintiva, ma sempre guidata da precisione e padronanza delle tecniche di movimento. Come performer, ha recentemente collaborato con Alex Baczyński-Jenkins, Michele Rizzo ed Enad Marouf.